martedì 24 settembre 2013

Instachè?!

Ah, si, Instagram.

Quel posto (aka: social network) dove tutti mettono una foto qualsiasi scattata con uno smartphone qualsiasi, con un effetto vintage qualsiasi in cerca di like qualsiasi.
Una torta, un water, un caffè, un tramonto, delle nubi, una macchina.
Persone, facce, luoghi, oggetti, cibo immortalati da smartphone e gettati nella pubblica piazza in cerca di like.

Cheppalle.

Lessi un articolo di un ragazzo divenuto l'instagramer (ossia l'utilizzatore di Instagram) più seguito in assoluto grazie alla bellezza delle sue foto.
Obiettivamente le immagini non erano male, alcune direi anzi molto belle.
Nell'intervista il ragazzo spiegava come aveva raggiunto questo successo: "Con il mio Iphone scatto circa 1500 foto al giorno".

1500 foto al giorno

"Poi scelgo le migliori e le metto su instagram"

E' fotografia questa?
Per me no.

Fotografare significa osservare la realtà ed esaltarne la bellezza.
E non è necessario essere professionisti o cultori o fanatici o conoscere a memoria tutte le opere dei più grandi fotografi.

Per questo vi presento Mauro, che su Instagram si fa chiamare Zeenaw, un amico di lunga data che vive ad Atlanta.
Non si definisce fotografo, non ha una reflex da 10.000€, eppure...

Giudicate voi stessi

(ps: se volete vedere tutte le foto di Mauro avete bisogno di un profilo Instagram....)







M.


domenica 15 settembre 2013

Digitale

Passeggiando con un collega, anche lui con un passato da fotografo, mi è arrivata alle orecchie questa sua affermazione:
"Eh, il digitale poi ha ammazzato tutto"

Falso.
Il digitale non ha ammazzato niente e nessuno.

Il digitale ha messo la fotografia a portata di mano di milioni di persone, una folla sterminata che ha invaso i nostri occhi con milioni di immagini.

Sta a noi, in mezzo a milioni di immagini tutte uguali, trovare quelle diverse, quelle belle, quelle che ci fanno venire i brividi o le lacrime.

Il resto sono chiacchiere da instagram

M.





 





lunedì 5 agosto 2013

Cartaceo

Se posso, stampo le mie foto.
Sempre. Magari dopo un anno, magari dopo due, ma prima o poi un'immagine che mi piace particolarmente finisce per essere stampata.
Forse per essere riposta in un cassetto, o forse per far bella mostra di sé in una cornice Made in Ikea, non importa.
L'importante è che la sua natura digitale prenda corpo su carta da sublimazione termica.

Non è questione di feticismo, né di nostalgia da anni '80.

E' una questione di mantenimento della memoria.
Quanti di voi, ogni tanto, si mettono davanti al PC a guardare le foto archiviate? non molti, credo.

Ma non perché non se ne ha voglia, ma semplicemente perché, affaccendati nelle cose che si hanno da fare, non ci si ferma ad aprire la cartella "Vacanze Puglia 2006".

Oppure il disco rigido del vostro PC va a farsi benedire e si porta con sé tutte le foto in esso contenute.

Avete la copia delle foto sul DVD? Bravi! Quand'è l'ultima volta che lo avete messo in un lettore?
Io stesso ho dozzine di CD e DVD pieni di foto e pieni di polvere.

Pensate invece a un album con dentro le sue foto.
Lo mettete in quel mobile in sala, anche lui made in Ikea, vicino ad alcuni libri.
E ogni tanto vi cade l'occhio sulla copertina rigida con sopra le facce sorridenti di due giovani spiaggiati al tramonto.
La tentazione di prenderlo e aprirlo è parecchia. E il danno è fatto.

Eccovi sul divano, o sulla poltrona anch'essa Made in Ikea, a ridacchiare mentre vi rivedete con molti più capelli e meno chili sulla faccia.
Oppure a urlare "Cara!!! Ma che faccia avevi in 'sta foto?!"

Oppure a scoprire di come sono cambiati i vostri figli, perché "non me li ricordavo così piccoli".

Ecco il problema: "non me li ricordavo così piccoli".

Siamo talmente presi che la nostra memoria, a capacità limitata, è costretta a togliere ciò che non serve più per fare spazio ad altro. Quindi il primo sorriso di nostra figlia, che ora ha 6 anni, è svanito nel nulla. Perché nel frattempo c'è il terzo fratello di appena tre mesi che fa delle risate memorabili. Che dimenticherete nuovamente.

Allora, se non volete perdere la memoria, e ricordarvi ogni giorno della bellezza vissuta, stampate le vostre foto e mettetele in un album. Quando vi verrà la "saudaji" prendetelo e sfogliatelo.

E tenete pronto un pacchetto di kleenex.


PS: Ho giusto fatto stampare quattro foto....

lunedì 1 luglio 2013

Kevin Carter

In pausa pranzo, pigramente, come tanti impiegati che lavorano qui attorno, passeggio in una nota libreria di un centro commerciale.
Svogliatamente passeggio tra i libri di management e quelli di religione, tra i quali fanno bella mostra di sè i libri antikasta.
Così li chiamano.
Mi guardo attorno con l'aria di un turista annoiato, come in cerca di qualcosa che mi svegli dal torpore post-prandiale. Poi il mio occhio cade su un banchetto sui quali sono esposti vari libri di fotografie.
Foto di modelle, foto di auto, foto di paesaggi, foto dell'India, foto dell'Africa... Le copertine lucide e colorate non hanno un grande effetto sulla mia attenzione, ma un libro in particolare, di forma e colore che non ricordo, è lì che mi chiama.
Si intitola "Storia della fotografia". Probabilmente c'era anche un sottotitolo, ma non me lo ricordo.
E non mi ricordo nemmeno la foto di copertina.

Mi attrae perché conosco molto bene il mio limite: io sono completamente ignorante di storia della fotografia.
E se mi dite un nome di un fotografo famoso che non siano Bresson o Gardin sulla mia faccia vedrete solo un'espressione vuota e inutile. (Toscani non lo annovero tra i fotografi per gusti personali....).

Lo prendo, lo sfoglio e, come un ragazzino che non sa leggere, guardo le immagini.
Che scorrono velocemente nel tempo... Dal 1890 passo velocemente agli anni '70.... e lì mi fermo su una foto di Mappelthorpe (Mattelthorpe! Come ho fatto a dimenticarlo!), un autoritratto di lui voltato di schiena, seminudo, con una frusta infilata nel didietro.Una icona della fotografia moderna.

Passo avanti, un po' disgustato.

So che prima o poi mi tocca la fotografia di reportage. E mi fa paura.
Perché la fotografia di reportage parla dell'uomo e del suo dramma, dell'uomo e della realtà.

Eccola lì.

Un bimbo africano, minuscolo, magrissimo, coricato in terra. Da solo.
E sullo sfondo un avvoltoio che aspetta.

Non riesco ad andare avanti.
Non posso andare avanti.
Guardo quel corpicino sulla terra, come se stesse tentando di alzarsi, e quell'avvoltoio in fondo che aspetta pazientemente.

Mi si chiude la gola, e chiudo il libro.

Esco senza parlare, con il mio collega che mi racconta delle scorpacciate fatte in chissà quale ristorante di chissà quale città con chissà quale cliente.

Cosa ne sarà stato di quel bambino? Chi ha scattato la foto si è limitato a riprendere la scena?

Questa domanda se la sono fatti in milioni di persone, tant'è che l'autore della fotografia, Kevin Carter, fu accusato di omissione di soccorso. Pur avendo vinto, nel 1994, il Pulitzer proprio grazie a quella foto

La realtà è che Kevin era lì di passaggio e il bimbo si trovava lì per puro caso, "parcheggiato" temporaneamente da sua madre che era andata a prendere cibo e acqua all'aereo appena atterrato, e sul quale volava anche Kevin.

Il bimbo si salvò.

Kevin no.

Kevin Carter si è suicidato il 27 Luglio 1994, lasciando queste parole:

"I am depressed ... without phone ... money for rent ... money for child support ... money for debts ... money!!! ... I am haunted by the vivid memories of killings and corpses and anger and pain ... of starving or wounded children, of trigger-happy madmen, often police, of killer executioners ... I have gone to join Ken if I am that lucky"






lunedì 24 giugno 2013

Voglio vivere così

Ah, ah! Oggi amo ardentemente
quel ruscello impertinente
menestrello dell'amor
Ah, ah! La fiorita delle piante
tiene allegro sempre il cuor
sai perché?

Voglio vivere così
col sole in fronte
e felice canto
canto per me!



Firenze - Maggio 2013
OM1 + 28/2.8 + FP4 125ASA + Microphen

domenica 23 giugno 2013

Step back

Un giorno regalai a una persona la mia vecchia Nikon D80.
Questa persona aveva fatto tanto per me (e lo fa ancora adesso) e una domenica pomeriggio mi presentai con la scatola dorata e gli dissi "Ecco, è tua".

Lui sorrise, mi guardò e disse: "Anche io ho qualcosa per te" e mi diede una borsa di tela verde, un po' sgualcita.
Dentro, qualcosa che andava oltre la mia immaginazione digitale.

In quella sacca verde "da reporter" sonnecchiava da chissà quanti anni una Olympus OM1 insieme alla "Triade Perfetta": 28/2.8, 50/1.8, 135/2.8.

Me ne innamorai appena guardai dentro al mirino.
Perché quello non è un mirino, è un cinemascope (guardate l'immagine qui sotto e capirete il perché)


Ma non è solo questione di cinemascope.

La Olly è una zietta del 1982 e di automatico ha solo l'esposimetro.
Nessun autofocus, nessun avanzamento automatico della pellicola, nessuna modalità P, A, M, S.

36 colpi, non uno di più. Niente braketing. Niente griglia di inquadratura.
E se canno l'esposizione non c'è photoshop che tenga.
E non posso sapere subito se la foto che ho appena scattato è venuta come volevo.

E' l'esatto contrario del "Non pensare, scatta".

Se non guardi, non osservi, non pensi, la Olly ti manda a 'fanculo.
Letteralmente.

E' fotografia.
Mica Instagram.


Tempio buddista - Kuala Lumpur
OM1 + 28/2.8
FP4 125 + microphen

venerdì 21 giugno 2013

Quotidianità


Alla fine sono le cose più banali quelle che mi attraggono.

OM1 + 50/1.8 
FP4 125 + Microphen

lunedì 17 giugno 2013

Resting


Ho bisogno di qualcuno che mi tenga in braccio così, che io possa appoggiare la mia testa sulla sua spalla e sicuro mi accompagni lungo il cammino.

Lesson Learned



Ho molto da imparare dai tailandesi

giovedì 6 giugno 2013

Sleeping cage

"Saluti al mio amico che non ha fatto neanche una foto al Sultan Abdul Samad Building e invece scatta una foto a un uomo che dorme per strada"

Così mi ha salutato la mia "amica" di Kuala Lumpur, qualche giorno dopo avermi accompagnato lungo le vie di questa città.


E non senza torti.


Un palazzo presidenziale è un edificio come un altro, magari un po' più bello, magari più brutto.


Ma un uomo che dorme per strada no.


Un uomo che dorme per strada è una persona e come tale è unica, inimitabile.


Anche nel dormire.


Kuala Lumpur - Maggio 2013

OM1 + 135/2.8 - Ilford 125 + Perceptol



mercoledì 5 giugno 2013

Free internet

Siamo sempre connessi.
Ovunque noi siamo, siamo sempre in contatto col nostro amico in Georgia, o il collega che sta a Singapore. 
Relazioni digitali in una realtà digitale.

Basterebbe invece alzare lo sguardo per un attimo per accorgersi della realtà vera, quella che ci circonda.

Singapore, Changi International Airport, Maggio 2013
OM1 + 28/2.8, Ilford 125 + Perceptol




Non imparerò mai

E' sempre così.

Quando decido di lasciare a casa, o il più delle volte in albergo, la macchina fotografica, mi ritrovo davanti situazioni o luoghi che non aspettano altro che essere immortalate.

Un temporale sul lago Trasimeno, le colline umbre macchiate di sole, due ragazzini che giocano a calcio con una bottiglia di plastica.

Sono lì, davanti a me, e io che come un turista americano imbambolato tento di fare una foto con il mio cellulare.
Facesse almeno foto decenti, il mio smartphone vecchio di 2 anni (vecchio... 2 anni....).

Ma poi scopro che lasciare a casa la macchina fotografica può essere utile per vivere intensamente quell'istante che ci è dato, perché non potremo congelarlo, manipolarlo con photoshop e riviverlo una volta a casa.

Quel tramonto, quelle colline macchiate di sole, non sono lì per essere immortalate, ma per essere vissute.

Intensamente vissute.